Buon V-Day a tutti! Il tanto atteso vaccino anti Covid è arrivato in Italia. La professoressa Maria Rosaria Capobianchi, l’infermiera Claudia Alivernini e l’operatore sociosanitario Omar Altobelli, alle ore 7:20 sono stati i primi a riceverlo. Oggi, 27 dicembre 2020, l’incubo coronavirus inizia finalmente a sbiadire. Eppure tra speranze e criticità, c’è chi ancora brancola nel dubbio. Tant’è che si discute di conseguenze per chi sposa la causa del no. Ma è vero che si può licenziare chi rifiuta il vaccino?
A sollevare un polverone è stato l’ex pm Raffaele Guariniello che, in una intervista al Fatto Quotidiano, lo ha detto espressamente: “Chi non si vaccina rischia il licenziamento”. Possibile? Nì, ma Guariniello non è certo uno sprovveduto.
Ex procuratore di Torino, oggi in pensione, Guariniello è stato titolare di tante inchieste importanti, tra cui i processi Thyssen ed Eternit. È uno che alla tutela della salute ha dedicato la sua carriera in magistratura, fino a intestardirsi sulle caraffe filtranti dell’acqua.
E allora, vale la pena approfondire il suo ragionamento, partendo da una doverosa premessa: il governo ha più volte ribadito che il vaccino anti Covid non sarà obbligatorio e finora nessun provvedimento in tal senso è stato posto in essere.
Cosa c’entrano i licenziamenti coi vaccini?
A sostegno della sua tesi Guariniello parte dalla madre di tutte le leggi, la Costituzione. E per la precisione dall’articolo 32, che sancisce il diritto alla salute. Ma lo stesso articolo dice anche che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Questa, in giuridichese, si chiama “riserva di legge”, cioè i padri costituenti hanno previsto che le eccezioni al sacrosanto diritto di rifiutare le cure dovessero essere regolate da una legge ordinaria specifica. E secondo Guariniello questa legge esiste già: il D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Che roba è? L’ultima versione del Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, anche noto per la insopprimibile usanza degli acronimi come TUS o TUSL.
L’art. 279 del suddetto Tus, spiega l’ex magistrato, “impone al datore di lavoro di mettere a disposizione vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico”, al quale sono esposti in ragione delle loro mansioni. Mettiamo il caso degli operatori sanitari, ad esempio: per loro l’azienda sanitaria dovrà mettere a disposizione tutti i dispositivi di protezione, compresi i vaccini, quando necessari a preservare la loro salute.
Quindi, ragiona Guariniello, “a norma di legge, essendo – come speriamo tutti – ora a disposizione un vaccino per il Covid (l’agente biologico), il datore di lavoro è tenuto a mettere a disposizione vaccini efficaci”.
E già qui la sua tesi stride un po’, perché in realtà non compete al datore di lavoro fornire i vaccini anti-Covid. In questo caso il rischio non è solo sul luogo di lavoro: a rischio è tutta la popolazione ed è lo Stato a provvedere con un apposito Piano Vaccinale, che dà la priorità alle categorie più esposte e ai più fragili.
Ma andiamo avanti: dice l’ex pm che l’art. 279 va letto in combinazione con l’art.42 del Testo Unico. Eccolo:
Come si legge in foto, l’articolo 42 impone al datore di lavoro l’allontanamento temporaneo del lavoratore in caso di inidoneità alla mansione su indicazione del medico competente, ma solo quando ciò sia possibile.
Ergo, tirando le somme, Guariniello desume che il datore di lavoro alle prese con un lavoratore che rifiuta il vaccino ha due opzioni: ricollocarlo, e in caso anche demansionarlo, oppure licenziarlo, quando il suo riposizionamento non sia compatibile con l’assetto organizzativo stabilito dall’azienda.
E pure questa sarebbe una forzatura, perché non esiste contratto di lavoro che preveda un obbligo di vaccinazione per i dipendenti, salvo che per mansioni per le quali sono previsti precisi standard di sicurezza. Né tantomeno un cittadino può essere tenuto a rivelare al proprio datore di lavoro se si è sottoposto a vaccinazioni, come invece è stato disposto per l’ingresso a scuola dei bambini.
E come la mettiamo invece, se il rifiuto di un lavoratore a vaccinarsi mette a rischio le persone che assiste? Oppure i colleghi invalidi, assunti nella stessa azienda, che magari non possono vaccinarsi? Beh, in caso di Covid, la questione neppure si pone poiché questo vaccino rende immuni ma non è ancora dimostrato se questo impedisca anche la trasmissibilità del virus.
Il caso dell’infermiera di Messina
Fa scuola in tal senso il caso di una infermiera del Policlinico di Messina che, nelle scorse settimane, ha vinto un ricorso dinanzi al Tribunale del Lavoro perché si era rifiutata di sottoporsi al vaccino contro l’influenza.
Per far fronte alla pandemia da Covid, con una ordinanza, la Regione Sicilia aveva sancito l’obbligo di immunizzazione contro l’influenza per il personale sanitario. Ragion per cui l’azienda sanitaria aveva esortato l’infermiera a vaccinarsi entro il 20 dicembre, pena la sospensione temporanea dal servizio per tutta la campagna vaccinale.
Ma il giudice le ha dato ragione “a prescindere dalla ragionevolezza” del provvedimento perché l’obbligo “può essere imposto solo con una legge dello Stato” e non con una ordinanza regionale. Se fosse stato vero il ragionamento di Guariniello, il Tribunale del Lavoro di Messina avrebbe potuto respingere il ricorso dell’infermiera. Ma così non è stato.
Per quelli, invece, che… “mi vaccino, ma non subito”, niente panico. E’ lo stesso Guariniello a ricordarci che c’è il blocco dei licenziamenti. “Ma in futuro il problema potrebbe presentarsi”, dice. C’è tempo fino a marzo per decidersi.
Chi ha ragione?
E’ vero quello che dice il giudice Guariniello: “Tutelare la salute significa vaccinare il maggior numero possibile di persone”. E in piena pandemia non può essere solo “un’indicazione morale”. Torniamo però a quanto detto in premessa: il governo ha già detto che il vaccino contro il Covid non sarà obbligatorio. Quindi al momento una legge che lo imponga non c’è.
Secondo virologi ed epidemiologi l’obbligatorietà è senz’altro la via più veloce e sicura per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. Ma, al contempo, molti auspicano che sia privilegiata e incoraggiata una adesione spontanea da parte dei cittadini.
Fior fior di giuristi tra i quali l’ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli e il costituzionalista Michele Ainis, hanno sostenuto altresì che l’obbligo si può fare solo con legge dello Stato, discussa e votata dal Parlamento. Altrimenti il rischio è di venire accusati di “dittatura sanitaria”, come già ampiamente visto nelle piazze dei negazionisti.
La responsabilità, allora, non può che essere della politica. Con campagne di informazione e persuasione efficaci. Sicuramente non è in capo al datore di lavoro. Nel dubbio, buon V-Day a tutti!
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